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Termini di prescrizione cartelle esattoriali per Iva e Irpef. Attenti alla BUFALA!!!!


Cari amici si Studio Legale nel Sociale, oggi vi invitiamo a fare attenzione ad una bufala che sta circolando sul web. Riguarda i termini di prescrizione per le cartelle esattoriali inerenti IVA e IRPEF.

Tutto nasce da una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione dello scorso novembre (Cass. sent. n. 23397/16 del 17.11.2016), in realtà mal interpretata dai commentatori secondo i quali la Corte avrebbe stabilito che tutti i crediti erariali (ivi comprese quindi l’Irpef, l’Iva e l’Irap) si prescriverebbero nel termine breve di cinque anni e non già di dieci, come sino ad oggi ci è stato insegnato. Se così fosse, la sentenza avrebbe una portata travolgente su gran parte delle cartelle di pagamento, da considerare perciò in gran parte prescritte e da non pagare. Invece non è così. Nulla è cambiato sui termini di prescrizione delle cartelle di pagamento. La Corte ha invece fornito un diverso chiarimento (non meno importante) per bocciare le tesi sostenute sino ad oggi da Equitalia davanti ai giudici tributari


Secondo Equitalia (l’Agente della riscossione sostituito, a partire dal 1° luglio 2017, da Agenzia delle Entrate-Riscossione), ciascuna cartella di pagamento avrebbe un autonomo termine di prescrizione a seconda del tipo credito in essa riportato. Ad esempio, per il bollo auto la prescrizione è di 3 anni; per il canone Rai di 10 anni; per i contributi Inps di 5 anni; per l’Imu di 5 anni, e così via. Tali differenti termini valgono solo per i primi 60 giorni dalla notifica della cartella. Scaduti i 60 giorni però si verificherebbe una trasformazione: la cartella non è più impugnabile e diventa «definitiva», al pari di una sentenza del giudice. Proprio l’equiparazione con la sentenza porterebbe la cartella a prescriversi sempre in 10 anni, a prescindere dal tributo in essa richiesto. In buona sostanza, dopo che la cartella non è più impugnabile si prescriverebbe sempre nel termine lungo decennale. Questo perché la prescrizione dei provvedimenti giudiziali – quali appunto le sentenze – è di 10 anni.


Le Sezioni Unite della Cassazione hanno bocciato questa interpretazione, sostenendo che la natura della cartella di pagamento non cambia con la scadenza dei termini per l’opposizione: essa resta un atto amministrativo e non si trasforma in un atto giudiziale. Con la conseguenza che non mutano neanche i termini di prescrizione, che restano gli stessi previsti per il tipo di tributo, sia prima che dopo la scadenza dei 60 giorni per l’impugnazione.


Dopo aver chiarito ciò, la Cassazione è passata al caso concreto che, nella fattispecie, riguardava contributi previdenziali Inps e Inail, per i quali la prescrizione è sempre stata di 5 anni. Perciò, la Corte ha detto che, nonostante l’intervenuta definitività della cartella, i crediti erariali – riferendosi però solo a quelli di Inps e Inail – si prescrivono in 5 anni. Da qui qualcuno ha ritenuto, erroneamente, che ciò dovesse valere per tutti i crediti dello Stato, quindi anche per Iva, Irpef e Irap. Sarebbe stata una rivoluzione vera e propria.

Invece, a leggere con più attenzione la sentenza, si capisce bene che, per la Cassazione, il termine generale di prescrizione per i tributi erariali resta sempre quello di 10 annisalvo che la legge non disponga diversamente (come nel caso di specie relativo alle cartelle Inps e Inail).

Il passaggio “incriminato della sentenza” riporta le seguenti parole:

«È di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo».


Il principio nuovo affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione non è quello secondo cui tutti i tributi erariali si prescrivono in 5 anni, ma piuttosto che la mancata impugnazione della cartella non la trasforma in un «titolo giudiziale» al pari di una sentenza e quindi non si applica la prescrizione decennale delle sentenze. Si applica la prescrizione secondo la regola specifica del tributo. Che, nel caso di Inps e Inail, è di 5 anni, ma per Iva e Irpef resta di 10 anni (quindi, senza nessuna sostanziale differenza rispetto alla sentenza).

Tale principio si applica a tutti i tributi, erariali o comunali. Ciò significa che laddove la cartella si prescrive un termine più breve, si applica quest’ultimo anche dopo i 60 giorni dalla notifica. Ma se non ci sono norme speciali a stabilire una diversa prescrizione, il termine ordinario è sempre di 10 anni.

C’è un aspetto molto importante da notare. La cartella esattoriale si trasforma in titolo giudiziale (ossia in una sentenza) se il contribuente fa opposizione e perde la causa. In tal caso l’obbligo di pagamento non è più contenuto nella predetta cartella ma nel provvedimento del giudice. Solo in questo caso, la prescrizione diventa sempre di 10 anni per qualsiasi tipo di tributo (anche per quelli che si prescrivono in 5 anni o in 3). Paradossalmente, quindi, per le cartelle con prescrizione breve, l’impugnazione potrebbe comportare maggiori rischi in quanto, in caso di sconfitta, si sarebbe soggetti a un termine di prescrizione molto più lungo.

alcune sentenze, certamente apprezzabili, hanno fatto un passo in avanti e hanno sostenuto che Iva e Irpef si prescrivono in 5 anni e non 10, per una ragione piuttosto semplice. Un articolo del codice civile stabilisce che tutti i debiti che si devono pagare una volta all’ anno si prescrivono in 5 anni. Non c’è dubbio che Iva e Irpef vadano pagati annualmente, al contrario invece di imposte come quella di registro o quella di successione che invece sono da corrispondere una tantum. Sulla scorta di tale interpretazione, alcune commissioni tributarie hanno sostenuto la prescrizione breve per Iva e Irpef (leggi Irpef e Iva si prescrivono in cinque anni).


Quali sono i termini di prescrizione delle cartelle di pagamento ?

  • per Irpef, Iva, Irap, canone Rai, contributi alla camera di commercio la prescrizione si realizza dopo 10 anni;

  • per Imu, Tasi, Tari, multe stradali, contributi previdenziali Inps e Inail, sanzioni, la prescrizione si realizza dopo 5 anni;

  • per bollo auto, la prescrizione si realizza dopo 3 anni che decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui era dovuto il pagamento del tributo.

Fonte: La legge per Tutti

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