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Contro lo spreco alimentare. La riflessione del nostro amico Luca


A pochi giorni dalla nascita e dell'"Associazione Napoletana per l'Economia Circolare" (ASSONEC) che ha come obiettivo principale la lotta agli sprechi alimentari - attraverso azioni sul campo e attività di ricerca/azione - nel territorio napoletano, arriva una riflessione molto interessante, che il nostro amico Luca ha voluto sottoporre all'attenzione di tutti noi.


Di seguito il testo completo:


"Una delle sfide cruciali che affronteremo nei prossimi decenni è la capacità di dare il giusto significato ad alcuni vacabili: fame, povertà, giustizia. Il mondo del volontariato, nelle sue molteplici e meravigliose espressioni, non ha ancora metabolizzato il valore intrinseco di questa sfida: definire e definirsi. Una volta, facevo l’obiettore di coscienza alla Caritas di Roma, venni ripreso con molta durezza dal mio referente: “Luca, voi obiettori non dovete fare differenza tra i volontari e gli utenti. Voi state, perché costretti e per un periodo limitato della vostra vita, in mezzo a due utenze. Questa è la vostra missione e, forse, la vostra forza.” Ho impiegato circa trenta anni a comprendere appieno questa frase: iniziare a percepire gli attori di chi opera in questi ambiti e di chi viene raggiunto come in un rapporto orizzontale. Senza verticalità, dove si soddisfano, vicendevolmente, diverse “disperazioni”. Nel contrasto allo spreco alimentare ogni definizione è, di fatto, superata. L’obiettivo è ridurre lo spreco alimentare e, perdonate la ripetizione, per ridurre lo spreco alimentare bisogna ridurre lo spreco alimentare. Non individuare meccanismi di redenzione, non burocratizzare l’intervento: non porsi, in pratica, la domanda se l’utente abbia bisogno o no del nostro aiuto. Faccio un esempio: Giorgio è un ricco signore, ha risparmio e proprietà, si nutre di aperitivi e campari. Un disastro alimentare che nasconde reali “disperazioni” in questo caso non legate all’indigenza. Un servizio di aiuto alimentare gli potrebbe dare l’imput ad uscire dalle sue pericolose abitudini, ad avvicinarlo ai problemi del suo territorio. Stanarlo, in parole semplici e tentare di trasformare la sua solitudine in una risorsa. O, almeno, che non diventi un peso economico per il sistema sanitario nazionale. Porsi sul territorio senza “divise” da esercito della salvezza e operare su obiettivi mirati. La nuova definizione di povertà e, conseguenzialmente, il nuovo intervento sociale deve essere il superamento del concetto di “raggiungere gli ultimi uomini”, con un “raggiungere anche i penultimi”, affinché non diventino ultimi. Un intervento che cerchi di arginare i buchi neri della modernità che annientano, triturano e trascinano al basso fette sempre più consistenti delle nostra società. L’intervento deve ridare dignità, non toglierla definitivamente. La sfida del contrasto allo spreco alimentare deve lavorare su più fronti: educare, riciclare, aiutare, fare impresa sociale, ma lo deve fare con discrezione. In questo senso burocratizzare e “verticalizzare” l’intervento è, secondo me sbagliato e per tre motivi: non riduce lo spreco alimentare in modo consistente, non raggiunge “le nuove” povertà (in attesa che riusciamo a definirle), non mette in moto virtuosismi economici atti a fare impresa sociale. Un’ idea irragionevole che sottopongo alla vostra attenzione di “addetti ai lavori” è ribaltare il concetto stesso di spreco alimentare, in risorsa alimentare. Immaginare un servizio che parti dal fabbisogno medio mensile di un essere umano. Quanta pasta? Caffè? Eccetera eccetera e per intenderci, su prodotti non “freschi”. Andare a sensibilizzare aziende produttrici, distributrici e catene di vendita sulla disponibilità ad acquistare o ad avere in donazione eccedenze alimentari vicine alla loro scadenza. Individuare “confezionamenti” alternativi: ad esempio pacchi di pasta da 5Kg, 10Kg o 15 kg, con un costo medio di acquisto decisamente più basso rispetto al 1/2 kg tradizionale. E andare a offrire un servizio con consegna a domicilio mensile che recuperando risorse destinate alla discarica e integrandole con risorse acquistate a prezzi molto contenuti, possa fornire un aiuto basico ad una alimentazione corretta. Dare a questo servizio un valore economico fissato in circa 50 euro mensili per persona. E lanciarlo sul territorio del centro storico di Napoli come “un possibile modo di fare la spesa”, accettando quindi ogni tipo di adesione. Un primo risultato sarebbe quello di alleggerire le mense dei poveri di una fetta consistente di utenze rendendo il loro servizio e il loro lavoro migliore e più umano. Il secondo risultato sarebbe quello di incrementare l’autostima e il potenziale produttivo di tante persone svantaggiate che non dovrebbero perdere ore in fila alle mense e che si sentirebbero più autonomi nel cucinarsi e nutrirsi in modo autosufficiente. Il terzo risultato sarebbe aumentare la consapevolezza del danno ambientale causato dallo spreco alimentare in soggetti politicamente sensibili ai problemi del mondo, ma non sintonizzati su questo specifico problema. Il quarto generare una attività sul territorio che ha notevoli potenzialità di auto mantenersi. In ultimo raggiungere persone che per “scuorno” non si rivolgono ai servizi esistenti. Faccio un esempio: Lello è un ricercatore universitario a spasso. Ha vinto il dottorato, si è sposato abitando in una casa di proprietà ed ha fatto un figlio. Una serie di coincidenze poco fortunate lo hanno, speriamo provvisoriamente, allontanato dal suo ambito professionale. Adesso ha quaranta anni. E’ divorziato, la casa spetta alla ex moglie e al figlio e sopravvive con grandi difficoltà. Pagare l’affitto e mantenersi diventa ogni giorno più difficile. Come intervenire per aiutarlo? Credo che la soluzione giusta per un povero sia quella di non farlo sentire tale. Coinvolgerlo in una operazione che ha vantaggi per l’ambiente, che non interferisce con la sua quotidianità e che abbia un costo sostenibile per chi ne usufruisce. Infine, ricordandoci il motivo intrinseco di un’operazione del genere, all’atto della consegna del pacco alimentare, possiamo sempre con tatto e delicatezza sorvolare sul pagamento, laddove si percepisce una impossibilità a pagare. Ci sono metodi che, senza burocratizzare la cosa, consentono ad esempio di sospendere il pagamento. Questo genere di attività oltre ad essere altamente inclusive per i diversi tipi di emarginazione, consentono un significativo abbattimento degli scarti alimentari. Inoltre, una volta individuata una utenza in un determinato territorio, consentono di allargare l’offerta ad altri servizi: per esempio “il fresco”. Coinvolgendo aziende produttrici e utilizzatori finali in modo dinamico e con meno passaggi intermedi possibili. Un ricercatore inglese, di cui non ricordo il nome, ha fatto un esperimento: zero budget per un anno in risorse alimentari. Praticamente ha vissuto degli scarti della grande distribuzione e della ristorazione. E sapete quel è stato il risultato più sorprendente della sua ricerca: la sua salute fisica è notevolmente migliorata".


Ringraziamo Luca per averci offerto altri preziosi spunti di riflessione.




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