I promessi sposi. Dell'amico Luca
A volte osservo le formiche, il loro incerto andare e mi accorgo che, a differenza di come immaginavo, non hanno una meta sempre logica. Non sono alla brutale e ossessiva ricerca di cibo. Eppure abbiamo eletto la formica a simbolo di operosità e taccagneria. Falso. Spesso interrompono bruscamente il cammino e tornano indietro, scontrandosi con le altre, come macchinette tozzatozza. Anche le formiche disobbediscono, giocano e s’incasinano. Noi erroneamentele eleggiamo a metafore di meschinità e, nella loro fragilità fisica, di pochezza. La cicala canta e la formica sgobba. Invece fanno jogging e esplorano il mondo per il gusto di conoscerlo. Marcello e Diana si amano e hanno deciso di sposarsi. Lui ha poco più di quarant’anni, molti vizi e autentiche virtù. Lei ne ha trentanove ha studiato, è preparata e pulita, ma non ha ancora un lavoro. Abitano ai lati opposti della città: Marcello nelle vicinanze della Riviera di Chiaia, Diana a Scampia. Così, non potendosi permettere una casa, hanno individuato uno stratagemma divertente per poter vivere insieme. Come due formichine, appunto, il loro incerto andare trova ospitalità dove capita. Una amica appena abbandonata dal compagno che è in cerca di compagnia. Un amico che va in vacanza e gli lascia in custodia piante e gatto. Persino una proprietaria di alcunibed&breakfast, quando non ha clienti, li fa pernottare gratis. Loro, in cambio della ospitalità, regalano serate allegre e piacevoli e, soprattutto, fanno grandi pulizie nella casa dove dormono. Così anche io, pur non conoscendoli bene, sono nella loro lista d’attesa per concedergli il mio divano letto. Vorrei affrontare la drammatica situazione delle mie finestre che, con tutta la mia buona volontà, non riesco a pulire. Anzi, ad essere sinceri, finisco per sporcarle ulteriormente. Federica, una delle ospitanti, evidentemente una casa la ha. Il guaio è che per pagare l’affitto e mantenersi al mondo è costretta a lavorare circa dodici ore al giorno, sette giorni alla settimana. Prendere o lasciare, questo è l’unica norma che regola il mercato del lavoro a Napoli. Dalle 6.30 del mattino e fino alle 13.30 è in un bar, come barista. Poi va a casa, mangia, si cambia e dalle 16 alle 20 è in un negozio, come commessa. Il tutto per raccattare poco più di mille euro per mese, il giusto indispensabile per pagare un affitto, le spese e il cibo: concretamente se deve andare da un dentista, deve chiedere un prestito. Mimmo, un ragazzino egiziano incasinato, si è spinto oltre ogni immaginazione: ha affittato il posto letto di un altro egiziano muratore, ma nelle ore diurne. Praticamente quando il muratore alle sei abbandona la sua postazione, lui può coricarsi e usufruire dei servizi, mentre quando il muratore riprende possesso del suo posto letto, Mimmo deve uscire di casa e trascorrere la notte a zonzo. L’idea gli piace, il problema sorge nelle notti di pioggia o di freddo e, nei pochi casi, in cui si sente male o ha la febbre. Nei fine settimana capita che dormano insieme, testa/piedi, come si diceva un tempo. Anche le formiche occupano i nostri spazi, senza avere le dovute autorizzazioni. Eppure, paradossalmente, hanno maggiori diritti di molti di noi nell’occuparle. Così, mentre l’emergenza abitativa assume proporzioni diaboliche e surreali, il comune pensiero politico si concentra sulla ossessiva ricerca di nuove libertà, atte a rendere ancora più fragile la figura del senza casa. Napoli, nella sua inedita veste di città turistica, sta trasformando la sua feudale classe media, in locandieri improvvisati. Interi quartieri vengono fagocitati dall’emergenza turistica, trasformandosi in presepi brutti e fasulli. Costringendo migliaia di giovani e non solo, ad un esilio forzato: una nuova e spesso qualificata emigrazione di massa. Questo processo è, in buona parte, stato agevolato dalle molte amministrazioni di sinistra locali e regionali che si sono succedute negli ultimi decenni. Amministrazioni che hanno dimenticato ogni politica a favore della edilizia popolare e ogni decenza nell’ostacolare un liberismo immobiliare sfrenato e dannoso. Intanto, in pieno trionfo per le universiadi, a poche centinaia di metri dal villaggio degli atleti, è nato un altro piccolo villaggio. Una decina di disperati si è accampata a Via Marina sotto gli alberi. Alcuni hanno recitato con il cartone il proprio mono locale. Tre donne, invece, per superare le immancabili violenze carnali della notte, hanno deciso di condividere lo stesso materasso. Ma quando finirà l’estate già sanno che dovranno dividersi: chi riuscirà ad entrare al dormitorio e chi, invece, rimarrà la notte all’ addiaccio, con l’unica speranza di essere abbastanza sbronza da dimenticare l’orrore dei tantivolti ignoti che ti profanano il corpo.
Marcello e Diana, casa o non casa, hanno deciso di sposarsi. Hanno addirittura individuato la location per il rinfresco. Una villa semi abbandonata sul litorale Domizio, gentilmente messa a disposizione dal proprietario, in cambio di un poco di manutenzione ordinaria. Persino l’orologetto biologico di lei ha iniziato a fare capricci: vuole un figlio. Come se anche lei avesse un diritto riproduttivo. Inutile tentare di scoraggiarla: se vivono in un eterno campeggio in due, potranno farlo anche in tre. Marcello tenta di dissuaderla con affermazioni catastrofiche, smentite però dal sorriso compiaciuto con cui le dice. Due pazzi, insomma, che rivendicano diritti elementari che abbiamo dimenticato anche nel nostro lessico quotidiano. Diana, ogni tanto, lavora a nero in un bar nei pressi di Piazza del Gesù, dove percepisce 20 euro al giorno. Lui, tra traffici più o meno leciti, raggiunge la stessa cifra. Il budget della coppia non supera mai i cinquecento euro mensili. Redditi di cittadinanza “non ottenibili”, in quanto entrambi residenti a carico dei rispettivi genitori. Che fare? L’osservazione delle formiche mi ha dato molti spunti: nei “Promessi sposi”, ad esempio, manca il dramma della casa e quello della disoccupazione, proprio come nelle comunità delle formiche. Gelosie, povertà, vigliaccherie, soprusi, amori gratuiti e amori carnali, ma niente che faccia riferimento ai barboni potenziali nei quali questa società tenta di trasformarci. Le risposte alle dinamiche di questa strana modernità, quindi, dobbiamo andarle a cercare nel mondo animale e non più in quello umano. Poi quello squisitamente politico, a questo punto, è miseramente fallito. Le derive populiste e demagogiche ne sono l’effetto più plausibile e devastante. Ma siamo noi, tutti noi, ad aver legittimato i cretini, gli sceriffi e gli sciacalli. Allora cerco, almeno io, di ripartire da zero. 1) Ogni animale ha la sua tana, quindi anche l’Uomo. 2) Ogni animale, a meno che non sia in cattività o in carcere, si riproduce liberamente, quindi anche Marcello e Diana.
Amico Luca